Notti magiche alle Maldive
L’infinity pool dell’Huvafen Fushi by Per Aquum, nell’Atollo di Malé Nord, sul cui fondo brillano duemila luci
Scrivo da un posto che forse scomparirà nei prossimi 40 anni, coperto da due spanne d'acqua e dalla stupidità di noi abitanti del pianeta. Si chiama
Huvafen Fushi. È una delle mille isole delle Maldive, 26 miglia marine a nord della capitale. È un'isola lunga un terzo di chilometro e larga la metà.
Contiene un mondo extralusso in miniatura: un resort di una quarantina di case sull'acqua per i turisti, fatte di legno e di cristallo, una piscina che ogni sera inghiotte il tramonto, un centinaio di palme, i fiori del frangipane e dell'ibiscus, le mangrovie, l'ombra, le tende di cotone bianco, gli aperitivi, la musica del vento, una dozzina di aironi che pescano con massima eleganza, aspettando il pesce sulla riva. E insieme contiene l'intero sole equatoriale, la storia di migliaia di lune di miele, migliaia di amanti, e il monsone Iruvai che in questa stagione soffia tiepido da nord-est mantiene l'aria a 29 gradi, increspa il mare, e di notte lucida le stelle, mentre nel Pavillon il cuoco Gaushan De Silva, che viene dalla corte di Rania, regina di Giordania, prepara la sua cena evento da 12 portate, con funghi, crostacei e verdure caramellate.
L'Huvafen Fushi è un paradiso di sabbia bianca. Il cielo cobalto e la luce dorata trasformano l'acqua in uno specchio mobile di vetro verde, e sui fondali di borotalco brillano tutti i colori del mondo incorporati ai pesci e al corallo. Ci nuoto in mezzo da tre giorni, lungo i canyon che ondeggiano fioriti verso il largo scivolando obliqui tra i due e i dieci metri di profondità, in una piscina naturale che sembra eternamente illuminata dalla trasparenza della luce e che invece ogni tanto sprofonda nel blu assoluto del nulla verticale. Sono venuto a incantarmi per incantarvi. A piantare un corallo per difendere la
Grande Barriera, l'ecosistema più ricco del mondo. A raccontare il paradosso di un Paese che vive a emissioni zero, proprio come un
Paradiso Terrestre, dove tutti camminano a piedi nudi, ma che potrebbe venire sommerso dal surriscaldamento generato da tutti gli altri Paesi, e diventare la prima Atlantide del mondo moderno. Immergersi nelle sue acque temperate è una forma di ascensione capovolta. Un viaggio verso l'origine di tutte le forme subacquee. Ricombinate in pinnacoli, voragini, terrazzamenti, funghi, pagode. Dove mentre nuoti passano pesci damigella a righe argentate e pesci farfalla di un giallo smagliante. Nuvole viola di pesci balestra e nuvole bianche di pesci fucilieri. Aragoste e granchi in fuga verso gli anfratti. E poi ombre che sbucano dal nulla. Con le pinne mobili e la velocità dei predatori in caccia: jack fish lunghi due metri, squali dalla pinna nera che si muovono in branco, barracuda solitari, fatti di acciaio brillante che filano come siluri. E subito dopo, evocando l'
ouverture di un'orchestra, la lentezza danzante delle grandi mante nere che ti sfiorano con la loro ombra e poi filano via come deltaplani in viaggio, fino a scomparire di nuovo nel nulla. Lasciandoti sempre la nostalgia di non averle viste danzare abbastanza.
Le Maldive sono un Paese fatto al 99 per cento di acqua. Sparpagliato a cavallo dell'Equatore, 500 miglia a sud di Sri Lanka. Una sequenza di 26 atolli che corre in verticale per 820 chilometri, affiora 1196 volte, formando isole minuscole, nove volte su dieci disabitate. Manciate di sabbia che
Darwin paragonò alle perle di una collana stesa sul velluto dell'Oceano Indiano. Nessuna collina, nessun fiume o lago, solo palme e vento. Un paesaggio tanto fragile da essere diventato il nostro specchio. Lo specchio di questa specie onnivora che da due secoli brucia tutto, compresa l'aria, gioca con l'atmosfera, gioca con il clima. El Niño, nel 1998, alzò di tre gradi la temperatura dell'acqua e qui intorno morirono le alghe, sbiancando la metà dell'intera Barriera. Le Maldive galleggiano sulla cima di una catena di vulcani sprofondata molti milioni di anni fa. Gli atolli sono le creste delle vette sulle quali è cresciuto il calcare del corallo. Che sbriciolandosi è diventato sabbia. Il tempo e le correnti oceaniche l'hanno stratificata nei crateri, fino a farla affiorare. Ma il vento non le ha mai consentito di crescere troppo.
Nessuna isola supera il metro e mezzo d'altezza sul livello del mare, assegnando alle Maldive il primato di Paese più piatto del mondo. Buono per gli uccelli, per i semi del cocco, per gli antichi navigatori in rotta dall'India verso l'Asia minore. Poi anche per i mercanti arabi che dal XII secolo lo colonizzarono all'Islam e un tempo lo chiamavano «Isole del denaro » perché sulle sue spiagge bianche venivano a raccogliere le conchiglie da usare come merce di scambio. Oggi altre «conchiglie del denaro» funzionano sulle stesse spiagge. Hanno la forma delle carte di credito che ogni anno a migliaia approdano con noi occidentali - ma anche con i nuovi milionari di India, Cina, Brasile - nei resort, dove i mercanti del tempo libero ci conquistano con vacanze da sogno. E con infiniti massaggi, come all'Huvafen Fushi Resort, nell'unica
spa maldiviana sotto il mare: una scatola di vetro dove per una volta sei tu nell'acquario e fuori migliaia di pesci passano a guardarti con un discreto stupore. E mille altre attenzioni dedicate agli ospiti: una mattina persino il piacere di essere trasportati molto al largo su una lingua di sabbia disabitata per brindare con sushi e champagne, su un tavolino perfettamente apparecchiato, al migliore dei naufragi possibili.
All'Huvafen Fushi ho scoperto chi ha scoperto le Maldive. Si chiamava George Corbin e nonostante il nome era mezzo italiano. Girava il mondo. Cercava luoghi mai visti. E un certo giorno di ottobre dell'anno 1971, scese da un cargo merci sul pontile di un'isola mai sentita, Malé. Scoprì che era la capitale di un ex protettorato britannico fuori da tutte le rotte. Dove in una cinquantina di isole perse nell'immenso oceano abitavano 90 mila pescatori con le loro famiglie e le piccole barche fatte con il legno di palma, i
dhoni. Non c'era luce elettrica. Né alberghi. Niente banche. Niente telefoni. Nessun poliziotto. Una sola automobile, quella del presidente, ma nessuna strada. Pensò di essere sbarcato dentro a un sogno pieno di pesci che erano la sua passione. Così, l'anno dopo tornò con un gruppo di appassionati di pesca subacquea, tutti di Firenze, e con un fotografo, Francesco Bernini, che riempì una dozzina di rullini di spiagge mai viste, tramonti e lagune, tutti raccolti in un libro intitolato
Duemila isole felici. Fu quello il primo «dépliant» della nuova storia delle Maldive.
Quarant'anni dopo i Resort si sono moltiplicati e ora occupano 100 isole, ognuna affittata per 99 anni alle più grandi catene alberghiere. Il turismo è diventato la prima risorsa del Paese. La popolazione è cresciuta di tre volte, abita altre 100 isole, conduce una vita quasi del tutto separata dai resort, ma beneficia del nuovo benessere e delle opportunità di occupazione, commercio, sviluppo che l'hanno trasformata. L'isola di
Maléè diventata una vera capitale piena di traffico, mercati, negozi, un aeroporto internazionale, un porto da cui salpano centinaia di yacht, motoscafi, e la nuova generazione di
dhoni a motore, dotati di ogni comfort per le crociere. Il presidente, dopo una lunga dittatura, è un quarantenne che ha patito il carcere, ha vissuto in esilio, ha fondato il partito democratico. Si chiama
Mohamed Nasheed, si dichiara allievo di Gandhi e ha la faccia di un ragazzo. Per parlare al mondo ha scelto l'
Onu - «Noi siamo il campanello d'allarme del Pianeta » - ma poi ha saputo farlo anche alle tv planetarie, convocando la prima riunione subacquea del suo Consiglio dei ministri. Ha detto: «Non vogliamo diventare un popolo senza terra. Avevamo ambasciatori alla corte di Giulio Cesare. Abbiamo una lingua e una storia da tramandare». In fondo il turismo dei resort sta funzionando come cassa di risonanza in questa battaglia contro il tempo.
Il jet set difende i suoi tramonti, i maldiviani la vita, il corallo e una farfalla che abita solo qui. Ne ha parlato una volta Nasheed, ma senza rivelarne il nome. Ognuno di noi dovrebbe scoprirlo. E poi tenerlo a mente, perché il suo destino ci riguarda.
Pino Corriashttp://www.style.it/viaggi/traveller/2011/12/15/maldive-pino-corrias-racconta-come-salvarla-dall-estinzione.aspx#--Gallery_39989