Le sirene di Taranto: la storia d’amore di SkumaLa storia d’amore che c’è dietro
le sirene sedute sugli scogli del
Lungomare di Taranto è piaciuta anche ad una ragazza poco romantica come me. E quando dico che sono poco romantica intendo che non lo sono per niente. Zero spaccato.
Ve ne do notizia non perché vi facciate un’idea della personalità della sottoscritta (di cui, suppongo, non vi importi un granché) ma perché siate preparati al racconto che seguirà nelle prossime righe: se, infatti, una
storia d’amore incontra persino il gradimento di un cuore di pietra come il mio, questa non può che essere una garanzia di qualità. Modestia a parte.
Non si tratta di
una storia d’amore come le altre.
E’ piena di colpi di scena in stile fantasy: fiori magici, sortilegi, fate e altri cliché tipici. Eppure, è straordinariamente realistica perché i suoi protagonisti sono
persone che hanno fatto un errore e hanno trovato la forza di perdonarsi.
Ecco, ci sono: quella delle
sirene di Taranto è la
storia di un perdono reciproco, la più difficile
dimostrazione d’amore che esista.
E dopo questa premessa, mi impegno formalmente a indirizzare ogni sforzo narrativo sui
due personaggi principali del racconto. Così sia.
La leggenda di Skuma]
Chiariamo subito un equivoco. Le sirene appollaiate sugli
scogli del lungomare di Taranto non sono una vecchia conoscenza di Ulisse. Anche alle sirene Tarantine piaceva sedurre i naviganti con canti e guizzi di pinna, ma la loro storia non ha nulla a che vedere con Circe, Itaca e i tappi per le orecchie.
E no, non sono nemmeno parenti alla lontana di Re Tritone.
Sirena dalla Rotonda del Lungomare Taranto, essendo bagnata da due mari, divenne meta prediletta dalle sirene che decisero di risiedervi in mondo stabile e di costruirvi il loro
castello incantato.
All’epoca dei fatti, viveva in città una
coppia di giovani sposi. Lei, una bellezza straordinaria. Lui, un prestante pescatore.
Proprio a causa del suo mestiere, il marito stava lontano da casa dall’alba al tramonto, se non per giorni e giorni.
Un
ricco signore tarantino cominciò a provare
un vivo interesse per la sposa solitaria e approfittò dell’assenza del pescatore per corteggiarla e farle regali costosi. Un giorno riuscì a sedurla.
La donna, in preda al rimorso,
confessò tutto al marito quando rientrò a casa dal lavoro. Questi, l’indomani, condusse la bella moglie in barca e, non appena furono in alto mare,
la spinse in acqua facendola affondare (non sapeva nuotare).
Le sirene arrivarono in soccorso della ragazza appena in tempo e, affascinate dalla sua incredibile bellezza,
la incoronarono loro regina col nome di
Skuma (Spuma) perchè era stata portata dalle onde.
Il pentimento del pescatoreNel frattempo, il
pescatore si pentì del gesto compiuto e, credendola morta, tornò ogni giorno nel punto in cui l’aveva vista annegare a piangere amare lacrime.
Le sirene si incuriosirono per il suo comportamento e, decise ad impadronirsi della barca, lo fecero cadere in acqua. Lo condussero al castello incantato,
Skuma lo riconobbe e pregò le sue nuove amiche di risparmiargli la vita.
Quando il pescatore si risvegliò a riva, ricordò quel che era accaduto e capì che nulla era più importante che
ricongiungersi alla sua sposa. Una fata gli rivelò come liberare l’amata: raccogliere l’unico fiore di corallo bianco dal
girdino delle sirene.
Il giorno seguente, si procurò un’altra barca e in mezzo al mare si mise a urlare a squarciagola il nome della moglie.
Skuma fuggì dal castello e raggiunse il pescatore, riabbracciandolo calorosamente.
Skuma coglie il fiore di corallo biancoPrima di lasciarla tornare dalle sirene, il pescatore riferì alla moglie che l’unico modo per liberarla una volta per tutte era impadronirsi del
fiore di corallo bianco e consegnarlo alla fata. Skuma elaborò un piano diabolico e il marito fu pronto ad obbedirle alla lettera il giorno seguente.
Usò tutti i loro risparmi per
comprare bellissimi gioielli, li mise in barca e si addentrò nel
golfo di Taranto. Le sirene lasciarono incustodito il castello perché ingolosite da gemme e pietre preziose.
Skuma poté così agire indisturbata,
rubare il fiore di corallo e portarlo alla fata che attendeva sulla spiaggia.
La fata agitò la sua bacchetta e, a colpi di bibidi-bobidi-bù, sollevò
un’enorme onda che trascinò via le sirene dal golfo di Taranto, mentre Skuma e il pescatore si risvegliarono, l’uno accanto all’altra, in riva al mare. Di nuovo uniti – o, forse, uniti davvero per la prima volta – ritornarono insieme a casa.
Foto tratta dalla Pagina Taranto Città Vecchia Ora, sorvolando su questioni marginali come l’adulterio e il tentato omicidio, esprimo tutta la mia simpatia per questi due personaggi,
due comuni esseri umani con debolezze e imperfezioni che hanno saputo correggersi e imparare dai loro errori.
Brevi note sulle sirene di Taranto
Le statue delle
sirene sul lungomare di Taranto sono state realizzate dallo scultore
Francesco Trani in cemento marino per renderle più resistenti all’azione corrosiva dell’acqua e alla salsedine. Quelle da me fotografate e che vedete in questo articolo si trovano:
- sugli scogli vicino al Molo Sant’Eligio
- nei pressi della Rotonda Marinai d’Italia
In particolare, l’ultima foto in alto mi è stata gentilmente concessa dai gestori di “Taranto città vecchia”, una pagina
facebook davvero interessante che pubblica ogni giorno foto meravigliose sulla nostra isola tarantina.
Questa immagine mi ha colpito perché, essendo scattata da molto vicino, riesce a cogliere certi particolari che dalle mie non emergono a causa della diversa angolazione.
Un grazie ancora a loro per esser stati così disponibili.
http://www.tarantomagna.it/